La mia storia - le origini

Carlo Muratori da piccolo

Sono nato a Belvedere di Siracusa, e le prime canzoni mi sono arrivate dalla voce di mio padre, nella sua bottega di falegname; musica più canzone uguale allegria: gli ridevano gli occhi mentre cantava brani d’opera e canzoni di Domenico Modugno. D’estate, il regalo per la mia promozione consisteva nel dargli una mano in falegnameria.


Il primo incontro con la musica l’ho avuto a nove anni, ascoltando da dietro una porta chiusa le lezioni di fisarmonica che teneva un anziano maestro che veniva da Siracusa in bicicletta. Questi mi prese a ben volere e cominciò a darmi qualche lezione gratis, ma quando si trattò di farlo sapere ai miei per comprare lo strumento, mio padre si arrabbiò così tanto che mi proibì anche soltanto di passare da quella strada; il mio futuro sarebbe dovuto essere di medico o di avvocato, e la musica la facevano i barbieri…mi urlò. L’anno appresso dovette ripetere un divieto: avevo deciso, dopo le elementari, di entrare in Seminario; anche in quel caso fu categorico, ma di questo non smetterò mai di essergli grato.

La prima canzone in pubblico l’ho cantata a scuola, seconda media, per una festicciola davanti ai miei compagni di classe esterrefatti: Il ragazzo della via Gluck, solo voce; tremavo, ma ero stranamente eccitato e felice.

La prima chitarra l’ho chiesta in prestito a mio cugino che l’aveva appesa alla parete come un quadro impolverato senza mai usarla. Avevo dodici anni; ho comprato un libretto della serie Chitarrista in 24h e, dopo 23 ho cominciato a strimpellare…balla linda…balla come saaaai…. Linda ballò tanto vorticosamente e ininterrottamente che mia madre, nella sua bottega di alimentari, esasperata me la spaccò sulle ginocchia. Fine della prima chitarra. Mi venne una strana febbre e i miei si videro costretti a comprarne subito un’altra, usata, ma in buone condizioni, una Eko p12.

A quindici anni ho cominciato a far parte di alcuni complessini rock e pop, mentre frequentavo il Liceo Classico Gargallo di Siracusa. A quell’età si è manifestata anche una notevole passione per il teatro dialettale, Martoglio e simili. Troppi interessi extra-scolastici da rendere compatibili con la compagine banale, conformista e spenta dei miei prof del classico; mentre fuori impazzava il vento del sessantotto e ad Avola sparavano sui braccianti, io vivevo quegli anni come uno zombi, con terribili complessi di colpa e con un sonno mortale nelle prime due ore. Venivo spesso rimandato in storia e greco e odiavo tutto e tutti.

Carlo Muratori prime serate pop
Carlo Muratori prime serate pop

Mi svegliai solo l’anno della maturità, di notte: la notte di Natale. Ero sull’altare ad accompagnare i primi tentativi infernali di Messa Beat, chitarre elettriche e batteria a ruggire “Vieni Signore vieni…”, quando i miei occhi si posarono su una giovane ragazza, con i tratti da svedese, che suonava l’armonium con una partitura davanti; che già questo, per noi rozzi suonatori di rock capelloni quanto ignoranti e “ad orecchio”, aveva del miracoloso. Veniva da Modica, studiava pianoforte e si era trasferita a Siracusa con la famiglia da qualche giorno. Rimanemmo fino all’alba in canonica a cantare La canzone del sole e Baglioni, 7 e 40 e Questo piccolo grande amore; ma già verso le 6 e 30 le avevo dato il primo tenero bacio. Quelle vacanze volarono con lei al piano e le prime sonatine di Beethoven, i notturni di Chopin e i suoi capelli così lunghi, lisci e biondi che si cadevano distrattamente sulla tastiera, Bach e un dolciastro odore di borotalco.

Fu così che conobbi la musica classica e il pianoforte, attraverso le timide mani di una piccola ginnasiale che iniziava a frequentare la stessa maledetta sezione C di quello stesso maledetto Liceo da cui io stavo per uscire. Lei tredici anni, io diciassette e, a nostra insaputa, stavamo scrivendo pagine di futuro.


Presi la maturità con il minimo sindacale e, considerando l’Università come l’inutile prolungamento di quel mio stato di malessere diffuso dietro i banchi di scuola, me ne tenni a debita distanza. In cerca di qualche occupazione, a diciotto anni fui assunto dalla CGIL per piccole mansioni interne.

In quelle stanze conobbi di prima mano il mondo del lavoro e della protesta, dei braccianti agricoli e degli scioperi operai della zona industriale.

Dopo un paio d’anni fui chiamato per la leva; Roma e poi, avendo chiesto l’avvicinamento per motivi di studi, fui avvicinato… ma alla Jugoslavia: Trieste, 151 Reggimento Sassari “Sa vida pro sa patria” una specie di reggimento punitivo; pare che il trattamento valesse per tutti gli iscritti ai partiti o sindacati di sinistra. Quattro giorni dopo la partenza, a sorpresa, i miei mi videro suonare il campanello di casa; a mio padre stava venendo un colpo, temeva che avessi disertato. Ero invece stato selezionato come chitarrista per il complesso musicale del battaglione; licenza premio per andare a prendere gli strumenti musicali e rientrare in caserma. Praticamente la guerra l’ho fatta per quindici mesi imbracciando solo la chitarra ed esibendomi ai circoli ufficiali, cantando I Camaleonti, Battisti, Bobby Solo e i Dik Dik.

Carlo Muratori con Corrado Sofia

Congedo dopo quindici mesi e rientro al sindacato.


Qualche mese dopo, per uno strana casualità, sono andato a suonare la chitarra in un gruppo folkloristico in costume. Com’è piccolo il mondo! Dirigeva quello stesso maestro di fisarmonica che mi aveva preso a lezione da bambino, litigando furiosamente con mio padre. Non si ricordava affatto di me, ma mi prese nuovamente a ben volere. Mi vergognavo come un ladro sul palco ad accompagnare Ciuri ciuri e Vitti ‘na crozza; stavo sempre dietro al coro, ma il maestro s’era privato del microfono sulla fisarmonica e l’aveva dato a me sulla chitarra; lui suonava in pratica solo per i coristi, fuori si sentiva solo la mia chitarra e le voci.

Carlo Muratori e la patria
Carlo Muratori con i Cilliri a Noto

Qualcuno fra il pubblico mi ascoltò con interesse; Antonio Paguni, un giovane percussionista che venne dietro il palco con un anziano signore, Antonino Trommino. Mi fecero un sacco di complimenti e mi proposero, seduta stante, di fare un gruppo folk, con loro, di quelli che in quel periodo si formavano in ogni regione; sfondo fortemente politicizzato e ricerca di antichi canti popolari…del lavoro e di lotta, principalmente…per accompagnare LA RIVOLUZIONE. Trommino aveva una splendida villa proprio al centro di Siracusa e ci avrebbe destinato un’intera ala della casa come sala prove. Accettai, rifiutai, ri-accettai, ri-rifiutai…poi finalmente decisi; era il 1977, stavo per formare I CÍLLIRI, formazione costituita da due chitarre, flauto, violino, tamburello, due voci soliste (maschio e femmina) e fisarmonica.

Carlo Muratori con il maetro Maranci e il gruppo folk

Carlo Muratori con i Cilliri e Baudo

Un taglio netto rispetto a tutta la tradizione folkloristica di quel tempo; prendevo i testi da antiche raccolte di cultura popolare e musicavo, con un orecchio allo stile popolare, l’altro al pop e alla musica cantautorale che tanto amavo. Gli arrangiamenti prendevano forma sul pianoforte della mia ragazza, che tra mille spartenze e ritorni, pazientemente mi insegnava i segreti di quelle strane palline dentro il pentagramma.

Per il gruppo la partenza fu in salita; poche serate, quasi gratis; tutte le Feste dell’Unità, pagati a panini con le salsicce e una birra.

Poi la svolta; qualcuno ci presenta ad una piccola etichetta catanese per la registrazione del nostro LP. Gli piacciamo, ci scritturano. L’etichetta si consorzia con la CGD e l’LP viene distribuito sul territorio nazionale e internazionale; Pippo Baudo ascolta i provini e ci propone come ospiti fissi, in ogni puntata del suo nascente programma televisivo FESTIVAL DELLA NUOVA CANZONE SICLIANA, nella nuova emittente catanese ANTENNA SICILIA.

Carlo Muratori con i Cilliri

Carlo Muratori con Pippo Baudo

E’ il 1980, è il successo! Il primo Lp “Sutta ‘n velu” vende decine di migliaia di copie; l’anno appresso esce il secondo “Dda banna a muntagna”, stessa sorte. Tutta la Sicila ascolta e canta la nostra musica. Troppo successo, tutto in una volta. Qualcuno nel gruppo comincia a parlare una lingua che non capisco e non mi piace. Li lascio, cedendo loro tutto quello che avevamo costruito fin lì: il nome, il mio repertorio, pulmino e amplificazione.

Matrimonio di Carlo Muratori

Nel frattempo preferisco accasarmi e per Santa Lucia del 1980 quei lunghi e lisci capelli biondi si acconciarono finalmente dentro un lucente velo da sposa. Nel 1984 abbiamo già tre figli. Ma la Cgil e la musica non bastano; troppi pannolini e pappine da comprare.

Scelgo di andare a lavorare come operaio al petrolchimico di Augusta, meno intellettuale come occupazione, ma almeno lo stipendio è accettabile, sicuro e regolare. Sette anni di lavoro in turno, un’alba, un pomeriggio e una notte; e poi ancora un’alba…con una sequenza che è il miglior anti-depressivo: ogni giorno è diverso dall’altro, e poi sei sempre a casa, e sempre al lavoro; la mente non distingue bene e se si rilassa ti addormenti ovunque ti trovi. Sette anni di questa terapia; giusto il tempo di riflettere che la puzza che si sente talvolta fuori dalle fabbriche è niente rispetto a quella che c’è dentro; che dopo una notte trascorsa a respirare quei veleni ti tocca una busta di latte perché è disintossicante: miracolo caseario; che quello che nello spettacolo è il prolungamento di una esibizione, il “bene, bravo, bis!!” qui si chiama “straordinario”, senza avere nulla di straordinario, e senza applausi, se non che a fine mese guadagni qualcosa di più. Vi rimasi giusto il tempo di studiare musica seriamente e di darmi una serie di esami da esterno al Liceo Musicale di Catania, per le materie teoriche, e a Vibo Valentia per la chitarra classica. Giusto il tempo di capire che l’arte, la musica, la puoi tenere fuori dalla tua porta per un anno, due, sette al massimo…poi è lei che ti viene a cercare, a svegliare durante la notte, a chiederti il tempo e l’energia che le devi. E poi, come diceva Lennon “La vita è qualcosa che succede mentre uno è occupato a fare altre cose”.

Nel 1987 Ignazio Buttitta scrive Il Colapesce, favola per teatro e musica che deve andare in scena al Teatro in Fiera di Messina. Romano Bernardi, il regista, vuole farne un musical e sta cercando il protagonista e l’autore delle musiche. Mi conosce dal tempo del Festival ad Antenna Sicilia con Baudo e mi propone i due incarichi. È una meravigliosa opportunità; ma il lavoro in turno al petrolchimico è proprio una difficoltà insormontabile. Accetto, rifiuto, poi è mia moglie, alle quattro del mattino di una notte insonne, con le mani fra i capelli, che decide per tutti: “lo sapevi che la fabbrica non sarebbe stata mai la tua vita;è tempo che ti metti alla prova, seriamente, con impegno e disciplina…in qualche modo faremo…i bambini cresceranno e vogliono un padre felice e realizzato; non sanno che farsene di un depresso con lo stipendio sicuro…”

Alle otto del mattino ero già in fabbrica a consegnare la mia lettera di dimissioni. I miei genitori per tre mesi mi tolsero il saluto “per un posto sicuro di quel tipo la gente ammazza …e tu ti dimetti??!! Sei un pazzo!!” Non avevano tutti i torti. La favola del Colapesce finì molto presto e io non diventai mai l’attore di teatro che avevo sognato. Cominciarono gli anni dell’angoscia e della paura; presto finirono i soldi della liquidazione e il mio progetto artistico stentava a decollare.


Nel 1988 mi auto-produssi il primo vinile da solista “Afrodite” con un taglio world-folk-jazz-elettronico, una sorta di caponatina indigesta. Troppo fuori dal mondo, troppo avanti…o forse troppo dietro: un fiasco clamoroso e un po’ di soldi buttati al vento. Dal 1989 al ’92 tre anni di tormento. Avevo cominciato a fare di tutto; lezioni private di teoria musicale e chitarra, lavoretti di falegnameria, serate di piano-bar nei ristoranti. Una sera d’inverno di quegli anni mio padre si trovò a passare da casa mia; ci trovò tutta la famiglia infreddolita nel salone, non avevamo i soldi per il riscaldamento; manco per comprare un po’ di legna per la stufa. Se ne andò turbato e mandò un suo amico a scaricare nel mio garage un camioncino di legna da ardere. Leggevo Conversazioni in Sicilia di Vittorini e scrivevo strane canzoni sulla falsa riga di Battiato, testi in italiano e musica finto rock.


Volevo assolutamente abbandonare lo stile tradizionale e il dialetto. Ricordo un concerto in piazzo Duomo a Siracusa con quei brani mistico-esistenzial-depresso con quattro persone ad ascoltarmi, che dopo un po’ lentamente si dileguarono. Ritrovai a fatica la mia identità e la strada di casa, tra il ‘92 ed il ‘94. L'incontro con due musicisti catanesi, il percussionista Riccardo Gerbino e il bassista Giovanni Arena, mi diede una notevole spinta musicale, artistica, nonché umana, che mi permise di fare sintesi di tutte le esperienze vissute fino allora e di cogliere dei risultati di qualche pregio. L'annoso ed irrisolto problema della creatività all'interno dei linguaggi popolari, trovava finalmente nella mia produzione chiarezza ed espressività. Con un ritorno prepotente al suono acustico, in alternativa all'esperimento elettronico di Afrodite, ritornavo a pieno titolo nei miei territori compositivi più vicini alla mia sensibilità musicale. Ricordo che avevamo un rito, noi tre: ci vedevamo di venerdì pomeriggio per stare insieme a fare musica fino a notte. Li avevamo battezzati "i sacri venerdì"; iniziammo a studiare arabo, guidati da un cameriere tunisino che ci preparava il cuscus. Fu proprio lui, Lotfi Bedhiafi, che mi ispirò "La mè prijera".

Carlo Muratori con i Cilliri a Noto
Carlo Muratori provino per Stella Maris

Nel ’93 avevo già una buona scorta di brani originali, ma dopo l’esperienza fallimentare di Afrodite non mi decidevo a prendere uno studio, investire altre risorse economiche e registrare i nuovi pezzi. Ma Giovanni e Riccardo insistevano e alla fine trovai uno sgabuzzino, che chiamare studio sarebbe proprio una esagerazione. Sedici tracce analogiche e con attrezzature di fortuna. Al costo di qualche pacchetto di sigarette. Registrammo una decina di cose; brani miei e ri-elaborazioni di antichi canti popolari siciliani; missammo e incidemmo una decine di audio-cassette con il titolo provvisorio Canti e Incanti. Cominciai a spedire a destra e a manca, etichette, editori, radio. Non ci avrei scommesso un centesimo!! La CGD Warner mi chiamò una mattina che non dimenticherò mai; avevano ascoltato la cassetta ed erano interessati a farmi un contratto discografico. Pazzesco!! Ancora oggi, quando mi capita di riascoltare quel nastro, non riesco a capacitarmi: tutto era molto al di sotto degli standard qualitativi minimi…eppure qualcosa doveva aver trasmesso quella musica. Firmai con la multinazionale per due cd che rimangono il vero punto di partenza per la mia biografia artistica, che prosegue, come si conviene nei siti seri, in terza persona.


Sale
[novembre 2015]
 
La padrona del giardino
[marzo 2008]
 
Plica polonica
[gennaio 2001]
 
Stella maris
[aprile 1996]
Consulta la discografia →