CONCERTO ALLA CASA CIRCONDARIALE DI CALTAGIRONE

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Ieri, 6 aprile, su invito di alcune associazioni di volontariato del calatino, mi sono tuffato dentro una esperienza forte e che lascia il segno. Ho suonato per un pubblico di detenuti all'interno di un auditorium allestito presso la casa circondariale di Caltagirone. Quando varchi il primo cancello lasci telefonino ed altri dispositivi elettronici. Avverti subito che stai per mettere i tuoi passi dentro un territorio "sacro"; c'è sofferenza, di uomini, di persone come te, immagini tanti piccoli calvari, e croci piantate su cumuli di ricordi, rimpianti, maledizioni, rancori...Dove c'è sofferenza c'è Dio, uomo fra gli uomini...mi sono segnato con un sentito segno di croce come quando immergi le dita in un fonte battesimale. E avanti, a superare metal detector, cancelli, sbarre, grate di ferro. Rumore di metallo e serrature che si chiudono. I pensieri si affollano e le domande urgono dentro una mente che non sarà pronta per le prossime ore. Ho bisogno di tempo, per capire, adeguarmi. Ma dovrò suonare, in qualche modo, dovrò cantare. Il teatro (o quello che è) è già mezzo pieno degli ospiti "forzati". Si aspetta l'altra metà degli invitati. Provo microfono e chitarra. Loro parlano, ridacchiano, forse mi sfottono pure; è una delle poche volte che accetterei anche dei pomodori sparati addosso alla mia faccia. Penso di non essere in grado di parlare loro, di raccontare qualcosa che abbia un senso per loro, che possa in qualche modo rimediare. Ora il pubblico è tutto al suo posto. Mi presentano...bla..bla..bla ed ecco a voi...Ciao a tutti, dico, da qualche parte dovrò pure iniziare. Parlo dell'umanità che non riusciamo più a recuperare dentro di noi e aggiungo che solo l'amore potrebbe tenderci una mano d'aiuto. Spero che nessuno si accorga che la mia mente balbetta e la voce è insicura. Invece sembra che apprezzino il concetto. E allora giù con l'amore cantato dal popolo siciliano, serenate, antiche parole di voglia di vivere e di morire d'amore. Cominciano a sciogliersi e ad entrare nel clima. Propongo un coro su E voi durmiti ancora. Fantastico! Cantano, e come...se cantano. E allora si gioca con Si maritau Rosa, è un tripudio. Si alzano in piedi a battere le mani e cantare. Le guardie si allertano e si avvicinano ai posti a sedere, sono vigili e attenti, non sembrano preoccupati, però...per un attimo vedo che qualcuno di loro ha in bocca "e ju ca sugna bedda, mi vuoi ma-a-ri-tà". Qualcuno urla Carlo sei grande (esagera!!!) ma uno lo sento, lo sento forte e chiaro e mi commuove Carlo ti vogliamo bene! So di non meritarlo e allora giù a cantare, ancora più forte, ancora di più. Un'ora va via che sembra un solo accordo di chitarra. Temo di trascurare il pubblico degli ospiti che sta alla mia destra, parenti, autorità, suore...Ma quelli a sinistra si prendono la scena del mio cuore. Non riesco a fare l'ultimo pezzo perché è una continua richiesta di bis, finche il direttore mi fa segno che bisognerà chiudere. Sono sudato come a mezzogiorno sotto il sole d'agosto. Scendo per stringere qualche mano. Mi invitano a tornare, al più presto; qualcuno osa "al limite fatti arrestare, però fatti portare qua, mi raccomando!" Lo abbraccio con tutta la mia inappropriata umanità. Mi ringraziano tutti, se solo sapessero quanto siano stati loro a donarmi veramente qualcosa di enorme. Custodirò per molti giorni questo ricordo, la chiara e netta sensazione che se c'è un senso nella nostra esistenza, esso ha i caratteri del dono, della com-passione, della vicinanza al dolore, alla sofferenza. Mi chiedo cosa sarà mai questa sensazione di uomo nuovo, rigenerato che c'è dentro me...poi capisco e azzardo una possibile ipotesi nell'essere stato per più di due ore senza cellulare; mi vergogno di questo stupido pensiero, anche perché qui dentro questa parola ha ben altro triste significato

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