Tutto avvenne in un grande magazzino italiano di una città che non ricordo, in un tempo lontano che fu; una vicenda che ancora tutti chiamano la rivolta delle buatte. In quell’epoca comandavano i “catalogatori”, una sorta di super uomini, terribili aguzzini impietosi e cattivi che avevano potere di vita e di morte sulle cose e sulla gente. Seguaci della corrente filosofica “Mondo-Buatta” loro ritenevano che tutto ciò che esiste in natura, ma proprio tutto, può e deve essere imbuattato: etichetta bene in vista et voilà. Abbasso le sfumature, le piccole differenze, le minuterie esistenziali e quegli insopportabili distinguo. Dai profumi alle stoviglie, dai cibi ai sentimenti, dagli uomini ai libri, ai sogni, ai cd ogni cosa doveva essere confezionata dentro questi contenitori cilindrici e luccicanti; così, per semplificare la vita, uniformare, per rendere tutto più ordinato, facile da scegliere, da capire, da gestire. Quindi si crearono centri commerciali dove ogni reparto aveva la sua bella scritta in alto che indicava il genere: PROFUMI, STOVIGLIE, CIBI, SENTIMENTI, AMICI, PARENTI, FIDANZATI….Una buatta per tutto, tutto in una buatta. Era perfettamente inutile che tu ti credessi un poeta o un musicista o un grande architetto…I catalogatori ti esaminavano e spesso andavi a finire nella buatta “scarparo”, “zappatore”, “mendicante”…
Nella zona dei dischi pare ci fosse un reparto bello, ricco, profumato con l’insegna vistosa ed elegante : “Cantautori italiani”. Era l’invidia di tutti. Le buatte qui erano preziose, pregiate; quasi avevi paura a toccarle; come se dentro ci fosse oro. L’etichetta appiccicata recitava: Prodotto poetico rigorosamente in lingua nazionale. Molto più in là, invece, in un angolo buio, dismesso, del negozio, dove olezzi forti e malandrini si propagavano nell’aria (del tipo tuma ragusano, capperi di Pantalica, cozze di Messina…) campeggiava un’altra insegna misera, scritta a mano, col pennarello: “Memorie e souvenir”. Queste buatte erano impolverate e stantie; se non fosse stato per qualche curioso turista che di tanto in tanto si fermava ad osservare e a portarne via qualcuna, erano lasciate al più squallido abbandono. Nell’etichetta tra la polvere potevi intravedere friscaletti, tamburelli, carrettini colorati, e titoli di grande ingegno e fantasia: Sicilia amara; Sicilia profumata; Sicilia amuri miu; Sicilia ‘mbalsamata, Sicilia sbriugniata; perfino Sicilia Sicilia, il più ardito. Pare che una notte, quella notte, a negozio chiuso, una buatta dei souvenir, presuntuosa, scattiata e ribelle di natura, abbia tentato di lasciare il proprio reparto, per rotolare giù fino a quello dei Cantautori. Per fortuna che il silenzio venne squarciato dal feroce suono delle sirene dell’allarme; accorsero veloci le guardie. Meno male! Sarebbe stata la fine di quel sistema e l’inizio del declino del Mondo-Buatta. Si racconta che la buatta ribelle implorasse in lacrime i vigilantes: “Io non sono un souvenir, lasciatemi stare; sono una buatta diversa; i catalogatori hanno sbagliato. Il mio posto è nello scaffale Cantautore. Sì è vero, utilizzo il siciliano per i miei testi, ma non faccio folklore; scrivo canzoni nuove, parlo del disagio dei giovani di oggi, parlo d’amore e di rabbia, del mondo nuovo, usando una lingua antica. Che c’entro io con Ciuri Ciuri?!” Le guardie dapprima l’ascoltarono, poi diffidenti le chiesero di vuotare il sacco, pardon la buatta, per analizzarla a dovere. Ebbene sì, dovettero ammettere contrariati: gli ingredienti risultavano perfettamente uguali; due gocce d’acqua. Stesso pomodoro, stesso formaggio, stesso sale, stesso pepe, stesso tutto rispetto alla buatta Cantautore, anzi in qualche caso anche meglio. Ma ci doveva pur essere una differenza, se il catalogatore le aveva relegate lì in fondo allo scaffale polveroso. La pronuncia!!! eccola la differenza! La sostanza era uguale ma qui si chiamava tutto in un altro modo; in questa buatta i componenti erano pumaruoru, furmaggiu, salifinu e pipiniuru. “Eh, no! –obiettò il maresciallo con un ghigno sul muso – Non ci siamo! Sembrano uguali, ma la buatta di CANTAUTORE è preziosa proprio perchè è in italiano; la lingua della TV, della radio e del parrino quando dice la messa. Che minkja è questo dialetto?! Lingua di viddhani è, di ‘gnuranti, di miserabili. Non sarà mai una lingua di prestigio; mia madre, bon’armuzza, mi prendeva a scorci di collo se me ne sentiva pronunciare anche una sola parola. Un cantautore che si rispetti, anche se non dice niente di nuovo e di bello, anche se canta minkjate perfettamente inutili e mediocri è sempre meglio di un cantante dialettale. Che la buatta ritorni immediatamente al suo scaffale!” urlò, e non ci furono cristi.
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