LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

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Ricordo di Corrado Sofiapubblicato su: IN OUT - Origini | dicembre 2007
“Sono nato a Noto nella provincia di Siracusa il 22 settembre del 1906. Mio padre si chiamava Antonio Sofia, mia madre Lina Fiaccavento. Mio padre medico si era laureato a Napoli, mia madre donna severa con i figli, a volte era tenerissima. Sono stato sempre innamorato di mia madre attraverso la quale ho imparato ad amare le donne che per me sono qualcosa di poetico e di misterioso; nelle donne ritrovo quella sensibilità che corrisponde sicuramente a una parte femminile che c’è in me…”
Queste parole raccolte da Carmen Rita Pantano sono di Corrado Sofia; un grande netino, poeta, giornalista, grande siciliano, morto dieci anni fa. Lo si ricorda a Noto in questa fine d’anno; e ce n’era bisogno in questi tempi più bui e barbari. L’attento lavoro e la sensibilità di Enzo Papa hanno permesso, fra l’altro, la pubblicazione di un testo “Corrado Sofia, 1906-1997 un testimone del Novecento” in cui lo scrittore viene ricordato da chi ebbe la fortuna di conoscerlo e frequentarlo. Io, tra gli altri.
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Ero troppo giovane per afferrare in pieno il sentimento e la profondità del tratto poetico. A quell’età sfuggono spesso i segni magici e le luminose manifestazioni della grandezza. Gli uomini sono il prodotto dei loro incontri e nei casuali crocevia del vivere quotidiano ipotechiamo, nel bene e nel male, il nostro futuro. Ma questo, si sa, a vent’anni è incomprensibile.
Fortunatamente la vita mi avrebbe poi donato il tempo e gli occhi giusti per capire.
Ero transitato alla magnificenza dei canti popolari siciliani provenendo dalle usuali musiche di facile consumo e da leggère canzonette strombazzate delle radio, con cui tutti i giovani familiarizzano, prima o poi. Sul finire degli anni settanta si stava manifestando in tutta Italia un rinnovato interesse verso le culture alternative di gramsciana memoria, e in ogni regione si aggregavano a vario titolo gruppi musicali nel tentativo di un recupero della tradizione orale.
Spinto dall’onda giovanile e coinvolgente di questo movimento, riunii a Siracusa una schiera di validi e musicali picciotti attorno ad un progetto di folk-revival. Nascevano così I Cilliri; in una fresca serata primaverile del 1977 il debutto. Indimenticabile! Tra lo spaesamento del pubblico abituato alle oleografiche ciuri ciuri e vitti ‘na crozza (da noi messe al bando impietosamente), gli osanna degli intellettuali post-sessantottini, e la totale indifferenza della quasi totalità degli aretusei.
Ci trascinammo l’estate di quell’anno tra i panini delle feste dell’Unità, un canto di lavoro dei contadini e una coscienza identitaria che ci cresceva dentro come una rabbia stonata. Fu allora che il destino volle concedermi una grande opportunità.
Si stava preparando al Teatro Comunale di Noto il primo Simposio Internazionale sul Barocco e qualcuno, nelle colorate stanze delle aziende turistiche locali, aveva deciso che, in una delle serate, si sarebbe dovuto intrattenere gli intervenuti, tra cui Andrè Chastel e Cesare Brandi, con un concerto di musica folk. La scelta cadde sui Cilliri e presto fummo convocati per discutere con gli organizzatori il repertorio della serata. Vollero ascoltarci preventivamente; farci un’audizione che sapeva tanto di esame. Se da un lato questo ci infastidiva, dall’altro ci dava l’esatta dimensione di quanto quell’evento fosse importante.
Un gruppo di signori distinti venne a trovarci nella nostra sala-prove. Tra tutti uno mi colpì particolarmente. Era entrato lentamente, appoggiandosi signorilmente ad un bastone; vestito interamente di bianco, aveva un sorriso candido, bambino, pur nella sua età avanzata; gli occhi manifestavano uno stupore incontenibile, di chi custodisce grandi doni nell’animo. Ci ascoltò con grande attenzione e rispetto, poi, pacatamente, cominciò a rivolgerci alcune sue impressioni. Si chiamava Corrado Sofia, ci disse che veniva da Roma, ma di origine netina. Si notò subito quanto fosse ben disposto verso la nostra musica e la qualità dei nostri arrangiamenti; ciò non di meno, cominciò un discorso sull’amore cantato dal popolo siciliano, declinando i suoi paradigmi fondamentali, amuri, ghilusia, spartenza e sdegnu.
Con la grazia e l’eleganza, che dopo avrei imparato ad apprezzare sempre di più, ci declamò ottave di endecasillabi tratte dalle ricerche del suo illustre concittadino Corrado Avolio. Chiedeva, se possibile, un approccio più poetico e lirico alla nostra furente e immatura etnografia. Ci affascinò con il racconto di feste popolari e di trofei luccicanti posti sui rami degli alberi, portati in processione per celebrare antiche vittorie dei netini; di come la memoria collettiva avesse mantenuto vivide quelle immagini riversandole sulla bellezza della donna: Arbiru carricatu di trufei/ si carricatu d’oru e arghientu assai/ si tazza d’oru e si pumpusa tazza/ straluci cciù di l’oru la to’ trizza….
Mi chiese una musica per quel testo che nel tempo aveva smarrito la propria melodia. Mi spinse a comporne una, nello stile e nello spirito delle cose che, a suo avviso, erano già dentro di noi. Ora il suo entusiasmo diventava travolgente ed altri versi si affollavano alla sua memoria; gli occhi erano lampi di adolescente malizia e vigore: Cummari c’ ata persu lu picciuni/ ciamati vitti vitti ca vi veni/ e n’ho viriti ch’è supra li casi/ ciamati vitti vitti ca vi trasi….. Ci lasciammo con la promessa di nuovi incontri fecondi : lui con il bagaglio prezioso della sua memoria, io con melodie nuove per gli antichi testi della gente di Noto.
Quando, qualche giorno dopo, ascoltò le mie ri-elaborazioni, la voce di Tano Fiorito intonare Su ddui cannola d'oru li tò vrazza/ e si ‘na vera Dia ri ghintilizza./ Quannu ssu biancu pettu si sdillazza/ m’allammica lu sancu stizza a stizza….. i suoi divenirono gli occhi di chi si commuove davanti a un tramonto, a un bocciolo di rosa, dinanzi alla bellezza di una donna. Volle abbracciarmi. Forte! come si conviene per un grande dono ricevuto. In realtà, in quell’attimo, ero io il vero graziato. Con lui e grazie al suo aiuto stavo gustando l’amore per il munifico e variopinto mondo della poesia e della letteratura popolare siciliana; sentimento che mi avrebbe tenuto compagnia per tutta una vita.
Altri incontri ed altri grandi personaggi avrebbero in seguito favorito ed incoraggiato le mie scelte e la mia carriera artistica; in quanto a Corrado Sofia il mio ricordo si fa necessariamente nostalgico e devoto, come spesso accade nei confronti di ciò che cambia dolcemente ma inesorabilmente il corso della tua vita.

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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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