LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

Torna indietro →


Dell'arsi e della tesipubblicato su: LE FATE ANNO III N.1 | gennaio-febbraio 2015
Dell’arsi e della tesi
La musica appartiene alle arti del tempo, dello scorrere e del fluttuare; dove c’è un prima e un dopo, dove l’istante è figlio di una sequenza di eventi che spostano continuamente il “durante” verso un passato già andato e un futuro che sta per arrivare. L’architettura o la pittura o la fotografia disegnano invece lo spazio, lo delimitano in confini discreti, e cristallizzano il tempo in una dimensione di sfondo.
Lo sa un musicista quanto dovrà faticare per scrivere l’inizio della sua composizione, quanto sarà importante e vitale interrompere il silenzio con la prima nota, il primo grappolo melodico a cui agganciare la propria idea, il primo passo verso l’universo sonoro che vorrà azionare, scatenare, rappresentare. Ma sa anche quanto pensiero dovrà condensare per scrivere la coda del suo pezzo, l’uscita, l’ultima nota, il commiato dal suo ascoltatore. Ogni brano musicale è fatto solo da due eventi straordinari: un incipit e una coda dove nel mezzo ci sono “solo” alcune note, tante o poche, per la durata di qualche manciata di minuti.
Conosce bene, il musicista, il sapiente gioco dell’alternare suoni e silenzi, note e pause, pieno e vuoto, materia e buco nero, arsi e tesi. L’utilizzo cosciente del silenzio, in un brano musicale, è forse l’aspetto che più d’ogni altro mette in risalto le doti creative del compositore, quasi a voler rappresentare la padronanza dell’ambito sonoro a partire dal controllo del suo opposto. La pausa musicale non è un’interruzione, non si intende mai come riposo, quiete, abbandono. Essa contiene la tensione vigile di una attesa, di un avvento per il tempo nuovo che sta per sopraggiungere.
Non è raro trovare nelle parti strumentali dei grossi numeri dentro delle misure bianche, vuote. Quel numero è la somma totale dei tempi d’attesa, delle pause da contare attentamente. Quelle cifre simboleggiano il count down inesorabile, irrefrenabile prima dell’avvio di un intervento musicale, di una frase, di un suono.
Forse è questo a rendere la Musica molto simile alla vita; ne diventa quasi la metafora perfetta!
La dimensione ritmica, ancora meglio di quella melodica e armonica, si configura a partire da accentuazioni che ne rappresentano gli elementi minimi costitutivi. Non esisterebbe un ritmo fatto solo di accenti continui, perenni; sarebbe la piattezza totale, un continuum di cadenze, che proprio per questo, darebbe il risultato paradossale di una stasi, una quiete infinita, la morte. Non riusciremmo a ballare, a muoverci a tempo. Il ritmo prende vita da un accento forte, seguito da uno, o più, deboli, in una sequenza temporale regolare o irregolare che sia; la mancanza di un accento è fondamentale per il nostro ritmo; tanto quanto l’accento stesso.
Il palpito del nostro cuore “canta” in tre tempi, stacca la sistole e la diastole in un tempo di valzer vivace, alternando un accento forte e due deboli, che accompagneranno straordinariamente per sempre la nostra vita.
Nel canto di origine popolare, ancor più che nella musica colta e strumentale (anche se il procedimento è simile ma solo più criptico) è del tutto evidente il significato del silenzio rispetto al suono. Se provate ad ascoltare una melodia registrata agli inizi del secolo scorso da un contadino, un carrettiere, una lavandaia, noterete come il suono della loro voce scandisce le parole con un orologio attentissimo che alterna rivelazioni e attese, melodie e silenzi, gravidi della assenza di suono.
Ed è proprio nel momento in cui riesci a comprendere l’enorme significato di quell’attesa, tenendo a bada l’ansia e l’impazienza, percependo distintamente la quantità di respiro che è contenuta al suo interno; è solo nel momento in cui la curiosità per ciò che sta per arrivare è pari alla gioia della pausa, e la sospensione viene vissuta come attenzione ulteriore e non come riposo, noia, abbandono….sarà solo allora che potrai dire d’aver capito veramente la musica, e quindi la vita.

Scarica il formato originale dell'articolo title=  


Torna indietro →

Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

Maggiori info