LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

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Non arare il suolo di Dio invanopubblicato su: LE FATE | Giugno - Luglio 2013
La terra come pelle di un sacro organismo che è l’intero pianeta e non a caso porta il suo stesso nome. Acqua e terra, fuoco e aria; i preziosi elementi che sostengono la vita di tutte le creature fin dalle origini; terra da possedere, da abitare; terra per cui combattere e morire; terra da tramandare, da donare a future generazioni; terra su cui sudare e riposare; piantare bene i piedi per terra per poter sognare; terra da coltivare per mantenere la vita. Sembra impossibile che il genere umano possa ideare e tollerare processi contrari alla natura della terra e al suo naturale mantenimento. Sarebbe una follia, l’ultima del genere umano. La terra non ci seguirà a lungo su quel sentiero; prima o poi manifesterà la sua disobbedienza: "una cultura non può sopravvivere a lungo senza una base agricola sostenibile ed un'etica dell'uso della terra" Bill Mollison.
Eppure pare che sia proprio così! Pare che da qualche parte, nel misterioso cervello umano, si annidi la prospettiva di violentare la terra, piegandola ciecamente agli interessi di qualche lobby economica. Comincia a sospettarlo già negli anni quaranta il microbiologo Masanobu Fukuoka sull’isola giapponese di Shikoku. Dopo una serie di meticolose osservazioni si rende conto come le convenzionali tecniche agricole, in un folle gioco al rialzo, tendono a rigenerare artificialmente ciò che prima si distrugge. Come bruciare ciclicamente la pelle di un corpo umano e poi, dopo la plastica ricostruttiva, ritornare a bruciare. Elabora quindi una sua personale e rivoluzionaria teoria, secondo cui la terra da coltivare è già un organismo pronto e vitale, che possiede in se tutte le facoltà per accogliere e far germogliare semi, produrre ogni sorta di nutrimento per uomini ed animali, senza alcun bisogno di arature, lavori massacranti, ma soprattutto senza la necessità di aggiungere, con cadenze cicliche, concimazioni di ogni tipo, sia chimiche che di provenienza organica. Fukuoka aveva intuito che il circolo vizioso nel quale eravamo stati indotti ad entrare (aratura, concimazione, semina raccolto, aratura…), vuoi da una logica dei profitti dell’ industria, vuoi da un bisogno frenetico di iper produzione e sfruttamento dei suoli, stava conducendo inesorabilmente il pianeta alla sterilità. Mette in atto le sue teorie attraverso la creazione di una agricoltura naturale, rispettosa del suolo e del sotto suolo, con un logica di semina che rispetta le biodiversità delle piante, mettendo al bando innanzitutto l’uso di diserbanti, anticrittogamici e fertilizzanti di ogni genere. Scrive il libro che è il suo manifesto ideologico “La rivoluzione del filo di paglia” che, seppur accolto con massima diffidenza dalle comunità scientifiche e accademiche del tempo, mette in moto, o meglio, fa germogliare nella mente di persone attente e senza pregiudizi, l’idea di una nuova agricoltura. L’eco giunge fino in Europa, dove negli anni settanta l’agronoma Emilia Hazelip accoglie in pieno le sue metodologie, adeguando le tecniche ai climi del sud della Francia e specializzandosi nella costruzione di orti, in cui l’ interazione fra le specie coltivate, genera una straordinaria sinergia. Da poco più di un decennio anche l’Italia ha la sua Libera scuola di Agricoltura Sinergica intitolata alla Hazelip; si formano docenti teorico-pratici, si tengono corsi e seminari. Nei primi del mese di giugno di quest’anno, in Sicilia, nelle campagne del ragusano, si è tenuto un corso di primo livello per la realizzazione di un orto sinergico. Momento storico per l’Isola. Organizzato dalla associazione locale Prometeo, il docente Alessio Mancin ha svelato ad un manipolo di iscritti, curiosi ed estasiati provenienti dall’intera regione, i segreti, le tecniche colturali, le teorie scientifiche di base e gli effetti al suolo e sulle piante; la scelta del luogo, la semina, il trapianto, l’irrigazione, il tutoraggio dei rampicanti. Quattro giorni di full immersion in cui avverti a pelle che qualcosa di speciale sta per succedere; che stai assistendo e lavorando ad un progetto sulla terra, che annoda alti ideali su nel cielo. La pratica convenzionale del “farsi in casa” il filare di pomodori, melenzane, peperoni, comune a molti siciliani favoriti dal clima mite e da tradizioni secolari, in questo brevissimo arco di tempo viene sovvertita; soppiantata dalla inconsueta visione di un’opera che recupera aspetti pratici e poetici, agricoli e filosofici, funzionali ed estetici, umani e divini. Orto liturgico diventa quasi; dove il rito viene officiato dal contadino che è quasi un sacerdote, l’aiutante di Dio, per dirla con le parole di Antonio De Falco, tra i fondatori della libera scuola. Alessio Mancin alterna sapientemente notizie e dati statistici, ricordi personali e video proiezioni; instancabilmente affonda le mani nella terra, l’accarezza, la tiene fra le dita e la lascia scivolare come polvere d’oro, a coprire un seme o le tenere radici di una piantina. Già dalle prime ore del mattino la contrada iblea Musebbi si anima di atipici personaggi, bizzarri apprendisti contadini, che tengono in mano vanghe e ipad, rastrelli e modernissime fotocamere digitali a documentare anche il minimo gesto del tutor, argomentano di politica e biologia, chimica e scienze olistiche; scrutati con sorniona bonomia da Angelo l’anziano proprietario del sito, che funge anche da supporter con paziente disponibilità. Il tempo vola, le domande si intrecciano come i tralci dei fagioli rampicanti. Da lassù il sole siciliano assiste focoso e sembra ridere; non vede l’ora di portare a maturazione quelle piantine e quei semi, quelle speranze e quei sogni per una nuova visione del lavoro e del rapporto con la terra e la sua funzione. Terre di Sicilia, sabbiose, vulcaniche, fertili, assetate. Terre antiche e mitiche, già da troppo tempo ridotte al rango di misero oggetto del desiderio da parte di avventurieri del denaro, predoni senza scrupoli. I nostri antichi contadini rivolgevano sempre una preghiera ai santi e al Signore, prima del lavoro, dopo la semina, dopo il raccolto; sapevano ringraziare e piegarsi docilmente alla volontà di Dio. In šāʾ Allāhta (إن شاء الله), Si voli Ddiu era la sintesi del loro atteggiamento. Terre abitate oggi da molti, troppi giovani che sarebbe ora abbandonassero definitivamente l’idea del posto fisso, o, peggio, della fuga , della precipitosa spartenza; per ritornare invece alla propria terra, coscienti che la Sicilia può ripartire proprio da questa dimensione, da una nuova agricoltura, colta, eco-compatibile, intelligente, rispettosa delle biodiversità e del lavoro dell’uomo, sinergica appunto.

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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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