LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

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Quinto non ammazzarepubblicato su: IN OUT - La lista della spesa | febbraio 2008
Quell’amore sanguinava come un agnello sgozzato su un freddo tavolo di marmo. Loro ora lo osservavano impietriti, come paralizzati, indifferenti dinanzi alla morte, con i cuori e le mani sporchi di sangue. I grandi occhi lucidi di quell’animale ferito imploravano pietà; ma nessuno dei due ascoltava, si impietosiva. Con il volto chino sui propri pensieri, essi non riuscivano a comprendere chi l’avesse ucciso; quale mano empia avesse brandito il colpo finale. Stavano lì, come migliaia di coppie, un giorno; ad un angolo grigio della loro storia di uomini e donne, di creature imperfette, di angeli con le ali malate, come due lupi dentro le loro tane. Stavano a quell’incrocio silenzioso dove le strade inevitabilmente si dividono, sia procedendo in avanti, che tornando sui propri passi; da quel punto esatto niente più sarà come prima, niente più sarà insieme. Quell’amore gioioso, fresco, vitale, bambino, pazzo, forte, immortale, adesso dov’è?! I pensieri rumoreggiavano senza riuscire a formare un fonema appena pronunciabile; un sibilo di voce, un filo d’aria che potesse alleggerire il peso delle nuvole; profumare quella notte d’agonia. Eppure non riuscivano ad allontanarsi da loro; speravano con tutto il cuore che l’altro avesse compiuto il primo passo, abbandonando definitivamente il campo, abbreviando quel mesto finale, ma i loro piedi erano come annegati dentro il cemento.
L’innocente non vuole morire.
Lei, ad un certo punto, alzò gli occhi verso il cielo; cercava una stella, un segno, una luce e sbatté forte contro il suo volto. Le sembrò bellissimo come non lo aveva mai veduto prima. Gli accarezzò le dita della mano, leggera; accennò un lieve sorriso. “Che succede, ora?” gli chiese; lui rimase muto, con la bocca serrata; la sua mano, forse, accennava timide parole. Cercava le carezze della mano di lei con movimenti appena percettibili.
Quanti dolci, lunghi momenti quelle mani avevano trascorso dialogando insieme; conoscevano fin troppo bene quel parlarsi per carezze; i segnali e le temperature; le stradine che dalle unghie conducono alle nocche, agli incavi fra le dita, alle vene turgide del dorso, alle linee magiche del palmo. E poi salire su attraverso le braccia; precipitare attraverso il tronco lungo camicie sempre troppo fastidiose da sbottonare, per liberarsi, per liberare quello che adesso stavano per ammazzare. Quelle mani si conoscevano meglio di loro stessi; ogni millimetro della loro pelle, ogni piega dell’altra avrebbero potuto raccontare. Quelle stesse mani possono uccidere e dare la vita, se vogliono.
L’innocente agnellino supplica, in nome e per conto di tutto l’amore contenuto dentro un fiore di campo, in un ricordo, in un tratto di vita.
Ora, come animate autonomamente, le mani si muovevano più ritmicamente. Si cercavano, fuggivano per ritornare a sfiorarsi; fino ad intrecciarsi, stringersi fino a fermare il sangue e a gonfiare il cuore; fino a farsi male, diventando una cosa sola. Anche lui a questo punto alzò lo sguardo e le vide luccicare una lacrima; si chinò lentamente, volle asciugarla con le sue labbra, assaporandone tutto il sale. Le mani adesso erano divenute abbracci e la bocca una coppa avida di baci.
L’animale ferito adesso aveva smesso di sanguinare e guariva a vista d’occhio. Era già in piedi pronto a correre e a saltare fra i campi. Gli ingenui e candidi agnellini sono bravi a dimenticare in fretta le ferite e i morsi dei lupi; soprattutto se riescono a scamparla.

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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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