LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

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Editoriale VI num.pubblicato su: LE FATE | Aprile - Maggio 2013
Risorgeranno, ne sono certo, risorgeranno!!
In un paradiso accogliente e festoso; ricco di prosperità e mansueto in fratellanza, giusto per i giusti. Con il loro Dio a coccolarli, tenero, premuroso, come un Padre che quasi chiede perdono per non essere stato in grado di provvedere loro come doveva. Li chiamerà ad uno ad uno per nome, e aggiungerà con tono gentile, nella lingua nera “Alzati e cammina!”. Il viaggio alla fine si rivelerà più utile del previsto; se non per approdare nelle tanto agognate coste siciliane, almeno per mutare finalmente condizione, per dare un senso alla vita, l’unico vero che ci accompagna dal momento in cui veniamo al mondo. Caronte per traghettarli all’Ade ha remato paziente su un gommone consunto, un’intera notte, per poi, quand’era quasi fatta e Lampedusa diventava una grande ombra all’orizzonte, scaraventarli tutt’a un tratto in un freddo mare, inopinatamente primaverile. Storie oramai consuete. Sono le innocenti vittime di una ingiustizia tutta umana, che riesce a produrre e consumare le ricchezze del pianeta per una minima parte dei suoi abitanti, lasciando il resto a morire di fame o di freddo in uno dei tanti viaggi della disperazione nel canale di Sicilia. Ma noi abbiamo fatto il callo a queste parole; non ci scandalizzano più; niente ci scandalizza… se non il giudizio di un cantautore, temporaneamente assessore, sull’onestà degli occupanti il Parlamento Italiano. Quello sì, ci inviperisce quasi. Noi, che probabilmente non meriteremo alcuna resurrezione, perché tutto quello che c’era da fare e da rovinare lo abbiamo già fatto in questa vita; e ci basta, per l’eternità. Loro si erano messi in viaggio dagli inferni sub sahariani, con l’animo di chi sta per rinascere a nuova vita e dentro un corpo martoriato da cento fughe e mille digiuni. I piedi sfiancanti dalle marce sotto il sole africano, prima delle interminabili attese nei porti libici, per guadagnarsi un imbarco, solo andata, verso un sogno, verso noi, che nel frattempo abbiamo smarrito ogni sogno, ogni speranza. Noi, a cui rimane solo una sgangherata giostra inquietante, sempre in moto, a girare incessantemente, e con una musica di sottofondo dei Goblin, come la sequenza di un film di Dario Argento o Quentin Tarantino; chi sale e chi scende, e chi non molla manco a sportellate. Scende un Papa oramai stanco e sopraffatto dalla sua vecchiaia; immediatamente smentito da chi, fortunatamente, sale su prendendo il suo posto: “La vecchiaia è la sede della sapienza della vita; doniamo la sapienza ai giovani, come il buon vino che con gli anni diventa più buono". Sale Francesco, e appena sulla giostra, manco il tempo di capire come reggersi per non cadere giù, ci sconvolge tutti con due, tre cose mai udite prima…del tipo “Buonasera”, “Buon pranzo”.
In altre aule romane i valori si capovolgono; qui sono i giovani che salgono e fanno girare la giostra deridendo la vecchiaia. E che giovani: educati, colti, signori e padroni del web, capaci quanto basta per poter chiedere a gran voce il governo della Nazione. Non hanno idea di cosa sia la BCE e di chi sia Mario Draghi, ma in compenso sono fieri di non rispondere al saluto della sig.ra Rosi Bindi, rea confessa di “vecchietà”. Scende il ministro Terzi, signore di Sant’Agata, dopo aver accucchiato ‘u diu da mala cumparsa per se e per un intero paese, annegando nell’inospitale oceano indiano; in cerca di una resurrezione elettorale, che ci auguriamo gli elettori gli sappiano tributare in maniera “irrituale”. Scende Battiato, un attimo prima di sventolare sul ponte, dopo il suo ennesimo “s-concerto”, la Bandiera Bianca, invitato energicamente a lasciare il suo cavalluccio nella giostra da un Presidente che credeva di intruppare un pensiero libero, creativo e autentico da decenni nelle tristi e ipocrite litanie del politichese italiano. Lo avevano messo lì come quei nonni che nei pranzi di famiglia chiamano il piccoletto per guadagnare una bella figura “dai, Cicciuzzo, recitaci la poesia, cantaci la canzoncina al nonno tuo….” e il piccolino invece si esibisce in una sonora pernacchia, ritenuta di enorme, imperdonabile “gravità permanente”.
Scendono Jannacci e Califano accolti da immensa folla commossa; e pensare che qualcuno crede ancora che siano solo “canzonette”. Scendono i tecnici e salgono i saggi, che scendono a loro volta per far accomodare i facilitatori. Se non fosse tragica la scena verrebbe pure da ridere. E intanto nel paese alita un gelido senso di morte, del corpo e dell’anima. Tutti in trepidante attesa di un Dio compassionevole che possa finalmente intimarci “Alzati e cammina!”.

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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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