LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

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Editoriale V num.pubblicato su: LE FATE | Gennaio - Febbraio 2013
Le parole alitano, nella bocca di qualcuno, come allegre bolle di sapone nelle quali si rispecchia una minima porzione di realtà; brillano e svolazzano nell’aria per il tempo di un respiro, poi si liquefanno come neve al sole, lasciandosi dietro un finto odore di bucato. Talvolta sono pietre, le parole; si incastrano le une alle altre come nei vecchi muri a secco delle chiuse ragusane. Si sorreggono vicendevolmente dentro impalcature semplici ma efficaci, che durano secoli, immutabili, se non fosse per le variopinte lanugini di muschi e licheni; disegnando solide geometrie che rapiscono lo sguardo nella contemplazione. E come per le pietre anche le parole conoscono varie possibilità di incastro, suggerendo diversi esiti semantici. Piegarsi, accostata alla pietra/parola resistere ne suggerisce almeno due: mi piego perché non so, NON POSSO PIÙ resistere; oppure piegarsi per MEGLIO resistere. Per un verso i due lemmi si respingono, quasi; si elidono a vicenda, non consentono una convivenza: o mi piego o resisto. A ben guardare, però, lasciando in sottofondo l’eco dell’antico detto siciliano “caliti juncu, ca passa la china”, si perviene ad una strategia, ad un modus operandi per nulla trascurabile. Ci si piega non per sottomettersi, ma per adattarsi, anche solo temporaneamente, ad una mutata condizione, per meglio capirla, assimilarla, per poi ritornare con più vigore e possibilità di successo a resistere. In questi giorni pare che una nuova pietra si sia incastrata fra queste due; la citano internazionalmente capi di stato, economisti di grido, editorialisti blasonati: Resilienza. Una parola, un relitto idiomatico che ci arriva dalla lingua latina, resiliens, e solo per questo sia già benvenuta; noi che ci beiamo di soffiare dentro parole come endorserment e spending review, pur avendo il corrispettivo sostegno e revisione della spesa , ma soprattutto non abbiamo alcun ritegno nello scrivere dappertutto l’agghiacciante new opening che starebbe per il più semplice ed elegante “inaugurazione”, per noi questa volta non c’è scampo: il termine resilienza è tutto nostro, in tutte le lingue e tutto il mondo lo dice esattamente così. Questa fortunata parola viene utilizzata in molti ambiti linguistici e sta ad indicare la capacità elastica di un corpo, un tessuto sociale, un oggetto, di ristabilire un suo nuovo equilibrio dopo che siano state mutate per qualche ragione le sue condizioni di partenza. Gli economisti ne parlano per descrivere gli esiti positivi che comunque saranno messi in moto dall’attuale crisi economica; ad un certo punto, per questa legge naturale, per il fenomeno della resilienza, si troverà una nuova e duratura stabilità. In quella parola c’è la descrizione sintetica di come il giunco, costretto a cedere la propria statura alla piena travolgente, ritornerà a svettare non appena l’alluvione sarà passata. Ci sono le istruzioni per l’uso della nostra complessa umanità, talvolta disperata e senza senso apparente. C’è speranza in questo resilire latino, in questo rimbalzare agli urti e ai peggiori disastri; c’è il futuro prossimo in questo termine che proviene dal passato remoto, resistendo all’incuria dei secoli; e proprio per questo c’è da fidarsi.
Siamo onorati, in questo numero, di ospitare alcune testimonianze di quotidiana resistenza; per libera scelta (un prezioso articolo delle Suore di Clausura che hanno accettato di raccontarmi il senso di una vocazione così difficile da comprendere per una cultura infarcita di libertarismo e narcisismo, come la nostra); per la mancanza di sensibilità di una politica sempre più miope e ingiusta (la testimonianza della direttrice della Biblioteca Ursino Recupero di Catania, costretta a lavorare da sola e senza stipendio); per inseguire ideali di giustizia e legalità (il racconto dell’assassinio del giovane giornalista ragusano Giovanni Spampinato).

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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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